La Scuola di Francoforte: l’importanza e la rivendicazione della ragione critica
I maggiori rappresentanti della Scuola di Francoforte sono Max Horkheimer, T. Adorno (entrambi nella foto), H. Marcuse e W. Benjamin e, per quanto riguarda la fase più recente, Jurgen Habermas.
La SdF si costituisce nel 1922 presso l’Istituto della Ricerca Sociale. Nel ’32 Horkheimer fonda la “Rivista per la ricerca sociale”. La SdF svolge le sue ricerche in una fase cruciale della storia, segnata dall’affermazione dei regimi totalitari in Europa: il nazismo, il fascismo e il comunismo staliniano. Viene sviluppato un complesso di idee di critica sociale già presenti in un altro importante sociologo, Max Weber, anche se i più importanti punti di riferimento sono il pensiero di Hegel, Marx e Freud.
Da Hegel e Marx la Scuola eredita la tendenza a impostare il discorso sulla società in modo dialettico, ossia un discorso che si pone come obiettivo quello di cogliere / smascherare le contraddizioni insite alla realtà storica e allo stesso processo storico, per sottoporle ad analisi critica.
Anche le teorie psicoanalitiche di Freud si rivelano portatrici di forti implicazioni filosofiche e sociali e, con esse, ancora un altro approccio dialettico, dal quale la SdF deriva gli strumenti per l’analisi dei meccanismi che sono all’origine del comportamento autoritario e della repressione degli istinti primari nell’individuo e nelle masse.
Perché si parla anche di “dialettica della Scuola di Francoforte” e cosa si deve intendere per dialettica?
Per rispondere a questa domanda non possiamo esimerci dal riprendere quantomeno i fondamenti della dialettica hegeliana.
Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio Hegel afferma che la dialettica è “la natura stessa del pensiero”, giacché è la risoluzione delle contraddizioni che la realtà reca in sé.
La dialettica consiste:
1) Nel porre un concetto astratto e limitato (tesi: imposizione o constatazione di una determinata realtà);
2) Nella negazione di questo concetto e nel passaggio al suo concetto opposto (antitesi: momento dialettico, cioè di opposizione, conflitto, critica della realtà);
3) Nella sintesi delle due precedenti determinazioni: sintesi che conserva, come Hegel stesso afferma, “ciò che vi è di affermativo nella loro soluzione”.
In questo senso tutta la realtà – e con essa tutta le storia dell’uomo – si muove dialetticamente, attraverso un ininterrotto processo di opposizione e superamento…
Per Hegel, come abbiamo detto poc’anzi, la stessa natura del pensiero è puramente dialettica: “pensare è negare ciò che ci si pone immediatamente dinanzi”. Questa dialettica è dunque intrinsecamente negativa. “Negativa” qui non si deve intendere come un giudizio di valore, bensì come l’atteggiamento di opposizione del pensiero nei confronti di una realtà contraddittoria, e perciò sottoposta a critica, a negazione appunto…
La ragione produce (e ha prodotto, nelle diverse epoche) una determinata realtà storica. Tale realtà storica si rivela irrazionale nel momento in cui sorgono delle contraddizioni al suo interno. La ragione dialettica è chiamata a individuare, portare allo scoperto tali contraddizioni, così da poterle rimuovere, proprio perché la realtà non è più razionale, cioè non si rispecchia più nell’idea della ragione che l’ha prodotta. L’impulso dialettico del pensiero negativo mira dunque ad eccedere la realtà storica, a un superamento dello status quo. La ragione dialettica si pone come fine ultimo quello di cambiare qualitativamente l’ordine sociale, risanando la scissione che è avvenuta tra la ragione e la realtà da essa prodotta.
Tutto ciò che una ragione conformista, per contro, non è in grado di fare.
…E come osserva Marcuse in Ragione e Rivoluzione “oggi il modo di pensare dialettico è estraneo all’intero nostro universo di termini ed azioni. Esso sembra appartenere al passato ed essere respinto dalle conquiste della civiltà tecnica”, o – potremmo dire – di una razionalità tecnica, una ragione strumentale (così definita da Horkheimer nel saggio Eclisse della ragione) che risolve il sapere nella tecnica, la verità nell’utilità, generando un’umanità che non s’interroga mai sui fini ultimi della ragione".
Nella Dialettica dell’Illuminismo, l’opera più rappresentativa della SdF, Adorno e Horkheimer incentrano il loro discorso sulla forte contraddizione presente nel concetto stesso di ragione strumentale: la scienza e la tecnica, nate come mezzi di emancipazione, finiscono per diventare fattori di repressione. Adorno e Horkheimer per Illuminismo non intendono solo il secolo dei Lumi, bensì quella mentalità che, durante tutta la storia dell’uomo, ha sempre più perseguito l’ideale di una razionalizzazione del mondo al fine di assoggettarlo all’uomo, e che ha raggiunto il suo apice nella moderna civiltà industriale. Questo però ha fatto sì che la pretesa di accrescere sempre più il potere sulla natura si è tradotto in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e in un generale asservimento degli individui al sistema sociale.
Merita un discorso a parte tutto il discorso di Herbert Marcuse intorno alla riduzione della sfera individuale alla sola e fittizia dimensione tecnologico-consumistica: l’uomo, intossicato dall’ideologia del sistema sociale e dalla cosiddetta “industria culturale”, viene progressivamente condotto all’alienazione di se stesso e alla più ampia disumanizzazione dei rapporti umani, destinati a diventare solo dei meri rapporti di produzione. Tutte queste asserzioni si inseriscono nella rigorosa critica che la SdF rivolge alla società borghese-capitalista, ai suoi effetti, alle sue contraddizioni…
Il senso della dialettica della SdF ancora oggi credo non debba essere dimenticato… E’ un invito a ad avere ancora coscienza delle forti contraddizioni insite all’ordine sociale… Esercitare un senso critico sulla realtà, guardando a un corretto uso della razionalità, per mettere in risalto l’importanza del fine a scapito dei mezzi e impedire che questi continuino a dettare le leggi di una ragione sempre più asserviente e sfruttatrice, che ha finito col dimenticare la causa finale per cui era stata messa in atto: la piena soddisfazione delle potenzialità umane... e non il dominio dell'uomo sull'uomo.
Francesco Macaluso
I maggiori rappresentanti della Scuola di Francoforte sono Max Horkheimer, T. Adorno (entrambi nella foto), H. Marcuse e W. Benjamin e, per quanto riguarda la fase più recente, Jurgen Habermas.
La SdF si costituisce nel 1922 presso l’Istituto della Ricerca Sociale. Nel ’32 Horkheimer fonda la “Rivista per la ricerca sociale”. La SdF svolge le sue ricerche in una fase cruciale della storia, segnata dall’affermazione dei regimi totalitari in Europa: il nazismo, il fascismo e il comunismo staliniano. Viene sviluppato un complesso di idee di critica sociale già presenti in un altro importante sociologo, Max Weber, anche se i più importanti punti di riferimento sono il pensiero di Hegel, Marx e Freud.
Da Hegel e Marx la Scuola eredita la tendenza a impostare il discorso sulla società in modo dialettico, ossia un discorso che si pone come obiettivo quello di cogliere / smascherare le contraddizioni insite alla realtà storica e allo stesso processo storico, per sottoporle ad analisi critica.
Anche le teorie psicoanalitiche di Freud si rivelano portatrici di forti implicazioni filosofiche e sociali e, con esse, ancora un altro approccio dialettico, dal quale la SdF deriva gli strumenti per l’analisi dei meccanismi che sono all’origine del comportamento autoritario e della repressione degli istinti primari nell’individuo e nelle masse.
Perché si parla anche di “dialettica della Scuola di Francoforte” e cosa si deve intendere per dialettica?
Per rispondere a questa domanda non possiamo esimerci dal riprendere quantomeno i fondamenti della dialettica hegeliana.
Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio Hegel afferma che la dialettica è “la natura stessa del pensiero”, giacché è la risoluzione delle contraddizioni che la realtà reca in sé.
La dialettica consiste:
1) Nel porre un concetto astratto e limitato (tesi: imposizione o constatazione di una determinata realtà);
2) Nella negazione di questo concetto e nel passaggio al suo concetto opposto (antitesi: momento dialettico, cioè di opposizione, conflitto, critica della realtà);
3) Nella sintesi delle due precedenti determinazioni: sintesi che conserva, come Hegel stesso afferma, “ciò che vi è di affermativo nella loro soluzione”.
In questo senso tutta la realtà – e con essa tutta le storia dell’uomo – si muove dialetticamente, attraverso un ininterrotto processo di opposizione e superamento…
Per Hegel, come abbiamo detto poc’anzi, la stessa natura del pensiero è puramente dialettica: “pensare è negare ciò che ci si pone immediatamente dinanzi”. Questa dialettica è dunque intrinsecamente negativa. “Negativa” qui non si deve intendere come un giudizio di valore, bensì come l’atteggiamento di opposizione del pensiero nei confronti di una realtà contraddittoria, e perciò sottoposta a critica, a negazione appunto…
La ragione produce (e ha prodotto, nelle diverse epoche) una determinata realtà storica. Tale realtà storica si rivela irrazionale nel momento in cui sorgono delle contraddizioni al suo interno. La ragione dialettica è chiamata a individuare, portare allo scoperto tali contraddizioni, così da poterle rimuovere, proprio perché la realtà non è più razionale, cioè non si rispecchia più nell’idea della ragione che l’ha prodotta. L’impulso dialettico del pensiero negativo mira dunque ad eccedere la realtà storica, a un superamento dello status quo. La ragione dialettica si pone come fine ultimo quello di cambiare qualitativamente l’ordine sociale, risanando la scissione che è avvenuta tra la ragione e la realtà da essa prodotta.
Tutto ciò che una ragione conformista, per contro, non è in grado di fare.
…E come osserva Marcuse in Ragione e Rivoluzione “oggi il modo di pensare dialettico è estraneo all’intero nostro universo di termini ed azioni. Esso sembra appartenere al passato ed essere respinto dalle conquiste della civiltà tecnica”, o – potremmo dire – di una razionalità tecnica, una ragione strumentale (così definita da Horkheimer nel saggio Eclisse della ragione) che risolve il sapere nella tecnica, la verità nell’utilità, generando un’umanità che non s’interroga mai sui fini ultimi della ragione".
Nella Dialettica dell’Illuminismo, l’opera più rappresentativa della SdF, Adorno e Horkheimer incentrano il loro discorso sulla forte contraddizione presente nel concetto stesso di ragione strumentale: la scienza e la tecnica, nate come mezzi di emancipazione, finiscono per diventare fattori di repressione. Adorno e Horkheimer per Illuminismo non intendono solo il secolo dei Lumi, bensì quella mentalità che, durante tutta la storia dell’uomo, ha sempre più perseguito l’ideale di una razionalizzazione del mondo al fine di assoggettarlo all’uomo, e che ha raggiunto il suo apice nella moderna civiltà industriale. Questo però ha fatto sì che la pretesa di accrescere sempre più il potere sulla natura si è tradotto in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e in un generale asservimento degli individui al sistema sociale.
Merita un discorso a parte tutto il discorso di Herbert Marcuse intorno alla riduzione della sfera individuale alla sola e fittizia dimensione tecnologico-consumistica: l’uomo, intossicato dall’ideologia del sistema sociale e dalla cosiddetta “industria culturale”, viene progressivamente condotto all’alienazione di se stesso e alla più ampia disumanizzazione dei rapporti umani, destinati a diventare solo dei meri rapporti di produzione. Tutte queste asserzioni si inseriscono nella rigorosa critica che la SdF rivolge alla società borghese-capitalista, ai suoi effetti, alle sue contraddizioni…
Il senso della dialettica della SdF ancora oggi credo non debba essere dimenticato… E’ un invito a ad avere ancora coscienza delle forti contraddizioni insite all’ordine sociale… Esercitare un senso critico sulla realtà, guardando a un corretto uso della razionalità, per mettere in risalto l’importanza del fine a scapito dei mezzi e impedire che questi continuino a dettare le leggi di una ragione sempre più asserviente e sfruttatrice, che ha finito col dimenticare la causa finale per cui era stata messa in atto: la piena soddisfazione delle potenzialità umane... e non il dominio dell'uomo sull'uomo.
Francesco Macaluso